Il burnout degli insegnanti o “sindrome degli insegnanti bruciati” sta aumentando in maniera significativa. Questa categoria di lavoratori rientra fra quelle considerate maggiormente a rischio accanto a coloro che operano negli ambiti di cura e di aiuto, come psicoterapeuti, medici, infermieri, oss, in quanto questi possono entrare più facilmente e frequentemente in contatto con la sofferenza delle persone e quindi essere più esposti al pericolo di burnout.
Ritorniamo agli insegnanti, con questo termine comprendo anche maestre ed educatori: essi si interfacciano quotidianamente con i bambini/e, i ragazzi/e, le loro famiglie con le loro difficoltà e fragilità che non sempre risultano essere di facile gestione.
In questo periodo storico, inoltre, gli insegnanti si sentono particolarmente affaticati perché la pandemia ha reso l’organizzazione scolastica ancora più caotica chiedendo loro di re-inventarsi adattando il programma scolastico a nuove modalità di insegnamento come la DAD. Accanto a ciò aggiungo anche le possibili paure e preoccupazioni che nascono dentro gli adulti nel momento in cui si trovano a lavorare in una classe numerosa, soprattutto se poi a contatto con bambini più piccoli: infatti il timore di contrarre il covid o di poter contagiare i propri familiari può essere sempre presente.
Il burnout degli insegnanti risulta essere “pericoloso” non soltanto per l’adulto stesso ma anche per i minori perché diverse possono essere le ripercussioni: ad esempio l’insegnante può modificare il proprio metodo di insegnamento diventando meno paziente, meno flessibile, meno capace di gestire le dinamiche di gruppo e più irritabile.
Il burnout infatti rappresenta una condizione di stress lavorativo intenso e prolungato che si protrae nell’arco dei mesi che si susseguono identici e sempre più difficili da gestire gli uni agli altri.
Quali sono i fattori di rischio che predispongono maggiormente, al rischio appunto, di sviluppare questa patologia?
I fattori di rischio possono essere presenti a livello individuale e/organizzativo.
Nella prima categoria rientrano quei lavoratori che sembrano essere più dediti al sacrificio; che hanno un maggior bisogno di sentirsi realizzati nel contesto professionale e/o che presentano delle problematiche a livello personale e/o familiare che li rendono momentaneamente più “fragili” e meno capaci di tollerare un eventuale stress lavoro correlato.
Nella seconda categoria, invece, rientrano diversi aspetti tra cui: classi numerose; mancanza di adeguate attrezzature; scarso investimento sull’aggiornamento degli insegnanti; pratiche burocratiche complesse; precarietà; costrizione a migrare allontanandosi dai propri affetti per poter lavorare. Si può osservare come queste difficoltà insite nel contesto lavorativo possono incrementare lo stress e il malessere psicofisico della singola persona acquisendo una dimensione tale per cui diventa quasi impossibile da essere gestito.
Quali possono essere i sintomi?
Si possono sviluppare sintomi cognitivi/emotivi; sintomi comportamentali e sintomi fisici.
Per quanto riguarda la prima categoria, si intende un sentimento di esaurimento, di tristezza e stanchezza; diventa inoltre difficile gestire le proprie emozioni e ogni nuova richiesta viene vissuta in maniera angosciante quasi come se rappresentasse un blocco nella mente e nel petto. Emerge anche la sensazione di non sentirsi più realizzati, non solo a livello lavorativo ma anche personale: perfino gli hobby non possono più ricreare il precedente stato di benessere che riuscivano a realizzare.
In aggiunta a ciò ci si sente totalmente inutili, impotenti ed inefficaci nel luogo di lavoro; non all’altezza delle aspettative degli altri e ciò genera senso di colpa e senso di fallimento.
Emergono anche disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione.
In altri casi, invece, ci può essere un distacco emotivo che, in ambito scolastico, si può tramutare in indifferenza nei confronti degli altri espressa attraverso l’adozione di forme di insegnamento rigide, inflessibile e poco attente ai bisogni degli alunni. Si può arrivare ad attribuire un eventuale fallimento scolastico dell’alunno a lui stesso, senza riuscire più a comprendere che, invece, possono essere presenti altre motivazioni.
Per quanto riguarda i sintomi comportamentali, si può parlare di assenteismo, mancanza di energia, mancanza di iniziativa, aggressività nella modalità di insegnamento (espressa, ad esempio, attraverso un tono di voce particolarmente alto).
Infine per quanto riguarda i sintomi fisici, si parla di disturbo del sonno, disturbi intestinali come la gastrite e disturbi dell’appetito.
Quando si arriva a tutto ciò è importante fermarsi, rendersi conto che si sta male, che non si è più in grado di affrontare ciò che ci circonda e farsi aiutare anche attraverso un supporto terapeutico che possa diventare un contenitore nel quale riversare il proprio malessere e il proprio stress.
Credo, infine, che possa essere utile aprirsi con i propri colleghi e farsi aiutare anche da loro creando una vera e propria rete di supporto.
È quindi necessario non rimanere soli nella propria sofferenza.
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