Questo titolo mi è balenato in mente pensando al film “La ricerca della felicità”: ognuno di noi è sempre alla ricerca di qualcosa, credo che la felicità e la normalità siano tra le mete più gettonate.
Oggi, però, sento il bisogno di fermarmi a parlare principalmente della ricerca della “normalità” anche perché il periodo storico/sociale/culturale/economico che stiamo vivendo sta sviluppando dentro molti di noi il desiderio e il bisogno di tornare alla fatidica “normalità.”
A questo punto mi chiedo e vi chiedo: cosa significa il termine “normalità”?
Sono sicura che se ognuno di noi provasse a rispondere a questa domanda e poi provasse a riproporla ad altre due persone che gli sono accanto, le risposte ottenute sarebbero tutte e tre diverse tra loro, magari certo con dei punti in comune ma sicuramente diverse in altri.
Quindi come è possibile parlare di “normalità”?
Abbiamo osservato come la dimensione soggettiva entri prepotente in questa “normalità”: parliamo allora di normalità soggettiva, un termine troppo lungo però; proviamo allora a parlare di stabilità.
Credo che forse il bisogno che tutti noi stiamo provando è quello di tornare a una propria stabilità.
Il bisogno di ricrearsi una base stabile e sicura viene fuori, soprattutto in questo momento, anche perché abbiamo il timore che il futuro che ci attende sarà diverso dal passato che conoscevamo e che quindi, almeno in parte, ci rincuorava.
Tuttavia se ci fermiamo un attimo a riflettere e torniamo con la mente al nostro passato, più o meno recente questo non è importante, possiamo notare come il timore del futuro sia stato presente anche nelle situazioni passate che poi, però, siamo riusciti ad affrontare e che sapevamo avrebbero portato delle modifiche al nostro modo di vivere.
Il cambiamento spesso, soprattutto se sconosciuto, ha generato, genera e genererà sempre paura e timore.
Certo è che in questo caso il timore, di tutto ciò che è futuro e quindi sconosciuto, è maggiore perché veniamo da un momento che ha fatto emergere le nostre fragilità, che ci ha fatto sentire vulnerabili e mortali, che ci ha messo di fronte alla morte e al dolore, che ci ha fatto chiedere come avremmo fatto a portare la cena a tavola se un lavoro non l’avevamo più.
Tollerare l’incertezza di non sapere ancora con chiarezza come sarà il nostro futuro è ancora più faticoso: però se proviamo a tornare con la mente al passato, ci accorgeremo che siamo sempre stati in grado di adattarci ai momenti di cambiamento.
Certo in alcuni casi l’adattamento ha richiesto più fatica e uno sforzo di consapevolezza maggiore, mentre in molti altri casi quest’adattamento è avvenuto in maniera molto naturale. A volte però ci accorgiamo di tutto questo solo successivamente quando, guardandoci alle spalle, notiamo quanta strada abbiamo fatto rispetto a poco tempo prima.
Molto probabilmente la stessa cosa avverrà anche in questo caso: ognuno di noi imparerà, più o meno obbligato dalle circostanze e più o meno con uno sforzo mentale maggiore o minore, a riadattarsi, a ricreare e ricostruire un proprio equilibrio e quindi una propria normalità soggettiva, una propria stabilità.
Forse poi, con il passare dei giorni, la percezione di questo cambiamento sarà sempre meno forte e noi ci sentiremo sempre più a nostro agio nei nostri nuovi “vestiti”: finché arriverà un giorno in cui, guardandoci alle spalle, non noteremo più alcuna differenza rispetto al passato.
E forse arriverà un altro giorno in cui ci verrà nuovamente chiesto di cambiare e di riadattarci e di ricreare una nuova stabilità ed ecco che, molto probabilmente, anche in quella situazione saremo estremamente spaventati e dubbiosi e pieni di domande su un futuro invisibile a occhio nudo.
Ecco che il consiglio è quello di fermarsi e ricordare le esperienze passate perché questo sforzo cognitivo spesso aiuta a centrare e focalizzare più facilmente le nuove esperienze; attraverso questo processo mentale riusciamo a riportare alla memoria le risorse che ci appartengono ma che a volte, inspiegabilmente, tendiamo ad accantonare: avere a mente sé stessi, i propri limiti ma soprattutto le proprie risorse ci permette di aumentare il nostro senso di auto-efficacia.
Ecco perché questo è un lavoro che vi consiglio di provare a fare: se farlo usando esclusivamente la mente e il pensiero è troppo faticoso, questo può essere fatto anche attraverso la scrittura. Ripeto è sempre utile ri-narrarsi, nella modalità che riteniamo per noi più funzionale e soddisfacente, la propria esperienza passata.
Questo, infatti, aiuta a creare con maggior facilità e lucidità una linea spazio-temporale più chiara e dei nessi causali a noi più comprensibili.
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