Ci siamo ritrovati a vivere un evento straordinario, imprevisto e sconosciuto che ha determinato diverse angosce e paure dentro ognuno di noi appunto perché la pandemia vissuta era qualcosa a cui non eravamo preparati dal punto di vista sociale, emotivo e psicologico.
Abbiamo sperimentato sentimenti di lutti e perdite per motivazioni sia concrete che simboliche: innanzitutto ci siamo sentiti persi perché alcuni nostri familiari o amici o conoscenti si sono magari ammalati e noi non abbiamo potuto fare nulla per aiutarli se non a nostra volta affidarci ad altri professionisti; poi siamo stati separati fisicamente dalle nostre famiglie e dai nostri amici; inoltre sono andate a pezzi le nostre routine sia individuali che sociali e abbiamo avuto la sensazione di perdere la nostra libertà costretti nei nostri movimenti e nelle nostre abitazioni.
Tutto questo ha portato a sviluppare una diversa percezione del mondo: un luogo in cui si continua sicuramente ad abitare ma che viene vissuto come meno sicuro e prevedibile rispetto a quanto credevamo prima.
Tutto ciò ha portato ognuno di noi a sviluppare ansie e angosce appunto come scrivevo prima: proviamo a vederle più nel dettaglio.

La prima angoscia: l’angoscia persecutoria.
In primis si può osservare un’angoscia persecutoria: il nemico con il quale stiamo combattendo è invisibile e può nascondersi ovunque ma soprattutto la percezione del rischio risulta maggiore perché sentiamo che questa minaccia, questo pericolo non viene più da ciò che è estraneo ma può venire anche dai nostri amici, dai nostri familiari, dai nostri conoscenti e dai nostri colleghi di lavoro. Improvvisamente abbiamo iniziato ad avere paura gli uni degli altri, abbiamo paura dei contatti e degli abbracci: chi ci è “amico” può diventare nostro “nemico” in quanto può essere portatore di malattia e quindi infettarci; in tutto questo il distanziamento sociale è una paranoia indotta ma necessaria alla nostra sopravvivenza e alla sopravvivenza delle altre persone e in parte permette di mettere a tacere l’angoscia di cui parlavamo prima perché ci allontana gli uni dagli altri.

La seconda angoscia: l’angoscia depressiva.
Poi si è osservato l’emergere di un’angoscia depressiva non solo individuale ma anche collettiva perché tutti noi ci siamo trovati di fronte alla perdita del mondo come noi lo conoscevamo; letteralmente da un giorno all’altro ci siamo trovati a perdere i punti di riferimento e le routine delle nostre vite dovendole in parte ricostruire e riadattare con conseguente fatica emotiva.
Spesso ci chiediamo quando potremmo tornare alla normalità: potremmo mai tornare al prima che conoscevamo? Perché questo prima è diventato una terra che salva e protegge rispetto a un futuro incerto e sconosciuto: l’angoscia depressiva ci tiene ancorati al passato e al bisogno di tornare a esso rischiando a momenti di spaventarci ancora di più rispetto l’ignoto che ci attende.

La terza angoscia: angoscia di cambiamento.
Come si può osservare tutte queste angosce sono legate tra di loro, comunicano in un dialogo a tratti spaventoso e si alimentano l’un l’altra; dove finisce una, inizia l’altra.
L’angoscia di cambiamento è appunto quell’angoscia che proviamo di fronte ai cambiamenti: solitamente la diversità e la trasformazione vengono vissute come destabilizzanti; se torniamo anche con la memoria a eventi passati possiamo ricordare come la maggior parte dei cambiamenti siano stati vissuti in maniera in parte ansiogena: quando il nostro ordine cambia, percepiamo spesso un senso di minaccia e di perdita rispetto a ciò che era conosciuto e quindi familiare.
Se ci fermiamo a pensare al futuro in parte proviamo paura perché non ritroveremo, o almeno non subito, il mondo come noi lo conoscevamo: ci troveremo costretti e/o desiderosi a riprendere in mano le nostre vite ma in maniera diversa, in un modo che appunto come già detto sarà in parte da conoscere e quindi un modo al quale bisognerà abituarsi anche abbastanza velocemente.
Bisognerà aver voglia di riprendere le proprie vite anche se in parte questa condizione di chiusura alimentava la sicurezza e allontanava la prima angoscia, quella persecutoria e al tempo stesso sappiamo che verrà mantenuto il timore di ammalarsi o che si ammalino le persone che noi amiamo: la fatica e lo stress potranno essere maggiori.
Bisognerà lavorare in ottica di integrazione: il passato, il presente e il futuro dovranno essere uniti in un’unica linea che, anche se curva, non potrà presentare punti di interruzione.
Spesso il lavoro di integrazione è estremamente difficile da fare perché implica dare un significato e acquisire consapevolezza su tematiche per noi più scomode e quindi può capitare che si cerchi di “passarci sopra”, rimandando questo lavoro: io credo che in questo caso il lavoro non potrà essere posticipato ma dovrà iniziare ad essere fatto, non domani bensì oggi.

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